“Una scuola”: struttura architettonica, spesso su più livelli, caratterizzata da ampi spazi interni, denominati
aule, all’interno dei quali si svolgono attività di insegnamento/apprendimento. Tradizionalmente, la
disposizione prossemica prevede una cattedra, spesso in posizione rialzata, occupata dal docente, posta di
fronte a banchi occupati dai discenti.
“La scuola”: istituzione di fondamentale importanza per la nostra società e per il futuro del nostro paese: in
essa, grazie ad una sinergia di importanti fattori, viene proposto un percorso di formazione e crescita
dell’individuo, inteso sia come persona che come futuro professionista, attraverso l’apprendimento di
discipline e l’acquisizione di competenze specifiche, la creazione di relazioni e l’applicazione delle regole
della convivenza civile.
Si gioca su questa sottile ambivalenza di significati la delicata situazione odierna della scuola italiana: la
pandemia che ha colpito la nostra società dal mese di marzo 2020 e che ha condizionato i giorni successivi,
ha privato i ragazzi dell’istituzione cioè delLA SCUOLA, mentre l’attenzione dell’universo adulto si è
concentrato sull’accezione di UNA SCUOLA limitata al significato strutturale: i ragazzi non potevano (e non
possono tuttora) stare vicini, nei banchi, nelle classi per il rischio di un contagio su larga scala.
Ancora oggi, a distanza di cinque mesi da quel funesto marzo, si continua a parlare di scuola solamente per
distanze, capienza degli ambienti e disposizione dei banchi, quando, al contrario, sarebbe necessario
prendere in considerazione la necessità di poter garantire continuità all’istituzione ed alle sue finalità
intrinseche: paradossalmente è come preoccuparsi di mettere a sedere degli avventori di un ristorante,
senza occuparsi della qualità delle pietanze che ingeriranno.
Non è stato facile per nessuno, e nemmeno per noi, fare fronte all’emergenza educativa che questo virus
ha causato; mentre il covid sovraffollava le corsie degli ospedali, mandava al collasso le terapie intensive e
colpiva con lutti improvvisi molte delle famiglie della nostra comunità, nonostante le innumerevoli difficoltà
strutturali, ci siamo costretti a tenere sempre presente l’accezione più nobile del fare scuola, che per noi
insegnanti ha significato esserci quotidianamente, anche se “a distanza”, per aiutare i ragazzi nella
decodifica della realtà, per condurli nel percorso di valutazione possibilmente critica degli eventi, per
mantenere relazioni costruttive e protettive.
Tuttavia, nonostante il tempo trascorso, la preoccupazione unica è parsa e pare al momento ancora quella
della riorganizzazione spaziale e logistica dell’attività scolastica, prediligendo non più la sostanza della
formazione, il “che cosa”, ma la sua fase accessoria, cioè “il dove”: sicuramente sono necessarie
regolamentazioni e protocolli, a garanzia della sicurezza di tutta la comunità scolastica e di conseguenza di
tutti, ma è altrettanto necessaria la riprogettazione educativa e didattica del percorso, perché, e questo è
un dato fondamentale, la scuola è cambiata nella forma ma non negli obiettivi formativi.
Ora, in questa estate di lavori imprevisti dedicati alla riorganizzazione degli spazi, necessaria allo
svolgimento dell’attività in presenza, continuiamo a porre grande attenzione alla dimensione educativa e
formativa del percorso dei nostri ragazzi, per evitare di snaturare la concezione di scuola che abbiamo
sempre perseguito.
Il primo punto della nostra riflessione prende avvio da un imprescindibile principio: la scuola deve
trasmettere competenze, perciò può e deve avere la funzione di palestra di vita; di conseguenza, è
necessario che ogni individuo prenda coscienza del proprio ruolo all’interno del percorso di salvaguardia e
sicurezza della salute, in primis nella scuola e poi nella società.
Stiamo lavorando a progetti che vedano il ragazzo al centro del percorso di messa in sicurezza degli
ambienti, perché queste azioni gli permettano di interiorizzare il proprio ruolo sociale, attraverso delle
semplici ma significative prassi operative (la disinfezione della postazione di lavoro, l’igiene personale, la
tutela della salute degli altri attraverso l’uso della mascherina, la diretta responsabilità rispetto alla
gestione del proprio materiale…) perché poi possano impiegare il medesimo modus operandi anche nella
vita quotidiana fatta di luoghi pubblici, palestre, attività extrascolastiche e, non ultimo, le relazioni familiari
e con i coetanei.
Riteniamo che il protagonismo attivo del ragazzo nel percorso di acquisizione delle competenze, in questo
specifico caso civiche e sociali, accresca l’efficacia del processo, rendendo le prassi maggiormente
consapevoli, perché costruite criticamente e non imposte e quindi subite: l’emergenza contingente, reale e
concreta, con la quale i giovani d’oggi devono confrontarsi, rafforza questa necessità, rendendola
esplicitamente “spendibile” nel quotidiano…; in poche parole, “imparo a scuola ciò che mi serve davvero
nella vita”, in questo caso per non ammalarmi o essere veicolo di contagio.
La seconda attenzione si pone alla riorganizzazione del lavoro in classe: sicuramente ad una modifica della
distribuzione tradizionale degli ambienti di apprendimento, deve corrispondere una rimodulazione delle
attività: i ragazzi hanno vissuto gli ultimi mesi esperienze di apprendimento perlopiù in didattica frontale, a
distanza…, tecnologicamente supportata…, magari anche fantasiosa… ma pur sempre frontale, perché ,
come si accennava precedentemente, un conto è il “che cosa”, un conto è il “dove”.
Se da un lato le competenze digitali sono state acquisite in modo sicuro ed autonomo forse più che
attraverso il percorso scolastico tradizionale in presenza, dall’altro quelle legate alla dimensione
disciplinare specifica (stiamo parlando delle cosiddette “materie”) e quelle di carattere sociale non sono
state particolarmente implementate, a causa di una distanza comunque “incolmabile” nonostante tutti i
tentativi tecnologici.
Questa mancanza è alla base della tragica scoperta dei genitori che si sono trovati ad affrontare insieme ai
figli: una scuola molto diversa da quella nozionistica ed asettica degli anni 80/90, in cui la storia, per
esempio, non è più fatta di date, ripetute mnemonicamente senza critica (“… alla tua età io le sapevo
tutte!”) ma di fenomeni di causa/effetto, relazioni interne ad un evento, analisi critiche e decodifica di
fonti…, ritrovandosi impotenti, perché figli di un altro modello di apprendimento, di fronte alle richieste di
aiuto dei figli.
Così eccoci impegnati in questa riprogrammazione delle attività in presenza, che vada a prediligere attività
di apprendimento cooperativo, esercitazioni pratiche, dialogo e confronto critico, per cui la classe, garantite
le distanze per legge, possa diventare un ambiente creativo nella vera accezione del termine.
Dell’esperienza della DAD non tutto va dimenticato: la possibilità di un contatto efficace nonostante la
distanza, l’acquisizione di nozioni e conoscenze attraverso video da poter vedere e rivedere fino alla totale
comprensione, il file sharing, l’analisi di fonti di ogni tipologia: questa eredità (e si spera resti tale) servirà
ad implementare e migliorare ulteriormente il percorso di crescita dei ragazzi, rendendo un’assenza
(necessaria in caso di sintomi anche lievi!) meno penalizzante, una ricerca personale più approfondita e
critica, una difficoltà di apprendimento più compensabile.
Distanze obbligatorie da rispettare, protocolli di sicurezza, disposizione dei banchi, mensa scolastica,
utilizzo dei servizi igienici… sono preoccupazioni legittime, alle quali abbiamo rivolto la nostra attenzione in
maniera seria e determinata fin dal mese di maggio e per le quali, grazie ai grandi spazi a disposizione,
abbiamo trovato rapidamente soluzioni efficaci; esse però…, seppur obbligatorie e necessarie, non devono
far perdere di vista l’obiettivo per cui la nostra scuola opera: la crescita dei ragazzi come onesti cittadini e
buoni cristiani, anche nel 2020 del Covid, come già con don Bosco nel 1848 del colera.. della tubercolosi,
della crisi sociale… delle enormi problematiche dell’Italia pre e post-unitaria.